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Nautilus
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(Chart Of The Week del 18/08/2013)
Proseguo in questo excursus-comparison sulla analogie/differenze tra il trend involutivo cha ha colpito la borsa nipponica, ormai da quasi 25 anni, la nostra da circa 14.
Il tutto, per ovvie ragioni, nel precedente studio era stato equiparato “in avanti”, simulando che la borsa giapponese avesse fatto i suoi record storici, nello stesso momento dell’Italia.
E le analogie – come abbiamo già veduto – erano e sono, per taluni tratti, davvero sconcertanti.

•       Il mercato nipponico, dal 1965 al 1989 (circa 24 anni e mezzo) , guadagnò il 3.715%;
•       il nostro, dal 1977 al 2000 (circa 22 anni e 1/3), riuscì a mettere a segno un +3.956%,
cifre che sembrano addirittura non quantificabili, ma, per renderla semplice, equivarrebbe a investire 1.000€ oggi e ritrovarsene circa 40.000, intorno al 2035!

Ma dopo quelle performance, questi due mercati sono andati incontro a quella che ho appena definito come una profonda “fase involutiva”, la quale – stessa – ha portato:
•       il Giappone a perdere quasi lo 84,00%, dai propri massimi (del 1989, appunto);
•       l’Italia a perdere (per ora e se i minimi del Luglio 2012 fossero definitivi) circa il 72,50%, dai propri massimi del 2000.



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In realtà, nella prima fase fortemente ribassista (quella seguente i massimi del 1989) l’indice Nikkei “si limitò” a realizzare un -63,23% e tutto ciò in circa 25 mesi, passando dal quel massimo storico, a quota 38.915,87, al minimo relativo dell’Agosto del 1992 (tempo T1), a 14.309,41 punti.

Di par suo (ma qui soltanto in quest’ultimo decennio), l’indice italiano FTSE-Mib pensò bene di passare dai massimi del Maggio 2007, a quota 44.364,00, ai minimi del Marzo 2009 (qui forse anche la memoria dei meno addetti ai lavori si risveglia!), alla misera altezza dei 12.621,00 punti, il che equivalse a una davvero desolante performance, per un terrifico -71,55% (la percentuale che potrete trovare nel primo grafico, di cui nell’articolo già in previous link ne differisce lievemente, poiché, qual valido parametro storico, allora, era stato utilizzato un indice più “atavico” della borsa italiana, ossia il vecchio Indice COMIT).
Il tutto avvenne in semplici 22 mesi (neppure 2 anni!).

Ma si è appena veduto che una sorte quasi analoga era già toccata al Giappone, soltanto qualche anno prima (impiegò soltanto qualche mese in più: 25).
Su quei minimi appena descritti (del 1992!!!), valeva 14.309,41 punti.
Oggi ne vale 13.650,11!, avendo da lì iniziato un lungo “percorso lateral-corretivo” che lo condusse perfino ben sotto la quota dei 10.000 punti, come può intuirsi dalla parte più a destra del grafico stesso e qui presente.

Allora e ora forse, tutti meglio comprenderanno cosa possa significare la locuzione:
«Far la fine del Giappone!»…

E non importa quali – in realtà – possano essere state le vere cause.
“Cause e concause”, in borsa, rivestono il semplice ruolo di “elementi giustificatori”, poiché alla fine è il risultato numerico quello che conta, soltanto quello!
Lo vado ormai ripetendo da anni!

E ciò che provocò questa lunga agonia – ancora forse non terminata – fu proprio il rimbalzo seguente (fase in ellisse) al primo tracollo nipponico, fase reattiva che mai fu in grado neppure di avvicinare il livello di 23.709 punti, dando così origine a quella prima fase involutiva che si protrasse per circa 8 anni.
Al contrario, il Nikkei avrebbe dovuto provare a entrare (per spazio-punti/spazio-tempo) in quell’area ombreggiata, etichettata come Normal Range (appunto entro il tempo T3), fatto regolarmente accaduto, in questi ultimi anni, per indici quali il tedesco DAX e lo statunitense S&P500

Anche l’Italia, attualmente, è ancora sotto (e anche di parecchio) alla sua “quota chiave”…
Di anni, ne sono passati (dal Marzo 2009, appunto) poco più di quattro…
Il tempo sembrerebbe giocare e deporre ancora in nostro favore.
Anzi, il mercato italiano, da qualche periodo, ha preso ad andare meglio delle altre borse europee, giacché la underperformance del nostro indice era stata un fenomeno tipico degli anni tra il 2010 e il 2012.

Lo testimonierebbero perfino i semplici dati della settimana appena conclusa (per venire a tempi più vicini), quando:
•       +2,86% addirittura il FTSE-Mib e miglior indice europeo, contro:
•             il +1,16% del francese CAC40;
•             il +1,01% del “sintetico” e rappresentativo €-Zone EuroStoxx50;
•             il +0,98% dell’ispanico IBEX;
•             il +0,64% (soltanto) del panzer tedesco DAX30
e addirittura contro un quasi stupefacente (per la forza passata e recente):
•             il -2,23% dell’americano Dow Jones e
•             il più “esile”, ma sempre negativo -1,43% del Nasdaq100, che ha anch’esso illuminato dunque di rosso la Time Square Tower.

Lo testimonierebbe infine il comportamento dello spread, avviatosi ben sotto i 250 punti-base (primo obiettivo, che le Fibonacci Waves intuirono già a metà Aprile di quest’anno).
A guardare quel “vecchio” grafico (nell’articolo qui in link), parrebbe ora lanciato – al ribasso! – alla volta dei 180 bps.
Significherebbe un recupero di ulteriori 50 punti-base di differenziale.
Una grande boccata d’ossigeno per il nostro debito pubblico.

Significherebbe forse un indice FTSE-Mib alla volta dei 19.000 punti circa, per poi puntare a quota 20.100 (dagli attuali 17.677,77 e chiusura di venerdì pomeriggio).

Ma tutto questo potrebbe non bastare ancora ad evitarci di fare la fine del Giappone…
Perché la “quota salvezza”… l’equivalente di quel 23.709 di Nikkei Index… è ancora un po’ più su…                               Read More?







Pavia, 2013, August the 18th





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